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STORIA DELLA TENDA

Ecoluxury ha deciso di classificare le proprie strutture in Tende attraverso l'Ecoluxury Rating Tent.

Dimore portatili per eccellenza, le tende possono essere considerate il modello di alloggio più primitivo conosciuto dall’uomo. Queste, infatti, portano in sé tutti gli elementi principali delle piccole case: ripartizioni, colonne portanti, un tetto, un pavimento e un’entrata. Si tratta, in ogni caso, di qualcosa più di una tettoia sotto cui mangiare e dormire: le tende sono rifugi mobili e rappresentano la “casa portatile” per eccellenza.

La tenda è associata alle più primitive forme di nomadismo, ed è l’accessorio fondamentale per tutte le attività umane che richiedano un posto in cui rifugiarsi che possa essere tirato su e smantellato in un tempo relativamente breve. Il nomadismo, in ogni caso, non comporta per forza una migrazione periodica e costante, e quindi il bisogno di un’abitazione mobile: le popolazioni nomadi hanno sempre cercato pascoli dove risiedere su base più o meno permanente. Si tratta di un punto importante, poiché mina la distinzione che è stata sempre fatta fra tribù o comunità “sedentarie-agricole” e “nomadi-pastorali”. Fino a poco tempo fa questi due “stili di vita” erano considerati rivali perché si trattavano di due modi potenzialmente in conflitto di sfruttare la terra. Per capire bene il significato bisogna pensare alle tribù barbare saccheggiatrici, il cui stile di vita contrastava in maniera considerevole con quello prevalente nelle città romane civilizzate. Stereotipi di questo genere sono stati sostenuti da certi modelli di pensiero.

Al giorno d’oggi, grazie a nuove ricerche, è emersa una forma nuova e più civilizzata di nomadismo, sempre esistita in ogni continente del mondo, dal Sahara alla Mongolia, dall’Arabia all’America, dall’India alla Siberia. Il termine “arab” infatti, deriva dalla parola semitica utilizzata per indicare un “nomade”, e non si riferisce ad alcun luogo in particolare. Con il tempo, il termine è arrivato a indicare le tribù beduine migratorie che si muovevano e commerciavano con notevole successo nell’intera Nabatene, Sinai e Mesopotamia. In ogni caso, l’elemento comune è sempre stato la tenda e con questa, dalla fine del II secolo d.C., l’allevamento di cammelli e dromedari. Nella lingua beduina, la parola “beit” si riferisce ancora sia alle tende sia alle costruzioni abitative urbane: la tenda beduina, generalmente, ha una base rettangolare, misura 3x4 metri ed è divisa in due aree distinte, una pubblica e una privata. Quella pubblica è utilizzata per ricevere gli ospiti, e si trova alla sinistra dell’entrata; quella privata è alla destra ed è riservata alle donne e agli altri membri della famiglia.

Nel Vecchio testamento, il luogo in cui gli ebrei veneravano Dio si trovava in una tenda eretta da Mosè, al cui interno era stata posta l’Arca dell’Alleanza (Esodo 39, 32-40, 38). Un santuario nel deserto di questo tipo era stato concepito come una sorta di tempio portatile, una tradizione che poi divenne largamente diffusa. Gli arabi lo adottarono nei tempi antichi e hanno continuato a usarla fino ai giorni nostri: per scopi religiosi, i beduini utilizzarono una piccola tenda, una specie di letto a baldacchino, che accompagnava la tribù ovunque essa si spostasse e che era l’ultimo oggetto da impacchettare prima di lasciare un accampamento. Era trasportato sul dorso di un cammello e durante le battaglie la figlia dello sceicco o un’altra bella e giovane ragazza vi si sedeva sopra incoraggiando i combattenti.

Le tende non erano utilizzate solamente come dimore o luoghi di culto, ma erano anche parte dell’equipaggiamento d’ordinanza dei militari. I Romani ne fecero un largo uso e durante la loro espansione la tecnica di costruzione degli accampamenti venne rifinita fino a diventare una vera e propria arte. Gli accampamenti erano talmente grandi e complessi che in molti casi diedero vita a città come Torino, Verona, Chester o York, che preservano ancora al giorno d’oggi la forma originaria. Considerando che un soldato romano avrebbe trascorso almeno 28 anni della propria vita in un accampamento, e che ogni legione era composta da seimila uomini, non è difficile immaginare quanti accampamenti si trasformarono in città in piccola scala, attraendo a sé una rete di attività parallele (mercanti, artigiani, seguaci). L’accampamento militare era di forma quadrata o rettangolare, e ogni lato misurava circa 500 metri. Era contornato da un fossato profondo circa due metri, dietro di cui i soldati si inerpicavano attraverso una rampa di terra sormontata da una palizzata di legno. Gli accampamenti erano attraversati da una strada perpendicolare e un’orizzontale, che s’incontrava al centro, nei pressi della tenda del comandante. Gli accampamenti erano costruiti vicino ai fiumi; quelli più sedentari erano anche forniti di bagni comuni, magazzini, stalle e piazza d’armi. I legionari generalmente dormivano in otto per tenda, mentre gli ufficiali avevano tende più grandi e lussuose in base al grado. Gli accampamenti militari di questo genere appaiono in diversi monumenti romani come la colonna di Traiano, la colonna di Antonino Pio o l’arco di Settimio Severo. La tradizione della tenda romana fu tramandata ai Bizantini e continuò a influenzare i modelli europei: le tende vichinghe erano probabilmente migliori perché potevano addirittura essere dispiegate all’interno delle navi durante i lunghi viaggi.

In Asia, la storia della tenda è altrettanto lunga. Nel descrivere la regione tra il Mar Nero e quella che è ora la Mongolia, Erodoto spiega che gli abitanti vivevano in “yurta”, strutture circolari costruite su impalcature di legno e ricoperte di feltro. La parola “yurta” è turca, e originariamente si riferiva a un terreno sul quale l’a- campamento nomade era costruito; il termine arrivò poi a riferirsi all’accampamento e probabilmente alla tenda nomade (in mongolo, ci si riferisce alla tenda con il termine “per”). La “yurta” è stata anche descritta dal monaco francescano Giovanni da Pian del Carpine, che ha viaggiato per l’Asia Centrale nel XIII secolo e conosceva le abitudini dei Tartari (i Mongoli). Anche oggi i Mongoli utilizzano tradizionali case nomadi: la “yurta” tipica, che ospita dalle quattro alle cinque persone, ha una superficie di 18-20 metri quadri, le pareti non raggiungono il metro e mezzo in altezza e la bocchetta di ventilazione sul tetto si trova a tre metri da terra. La parte esterna è ricoperta di terra bianca per riflettere i raggi del sole mentre l’arredamento interno è semplice: lenzuola e materassi fatti di lana grezza, coperte di pelliccia, un paio di sgabelli e un cesto di vimini con armi, vestiti e stoviglie. Questo tipo di tenda è stato costruito nella stessa maniera per secoli, dal periodo di Gengis Khan all’impero di Tamerlano, dalla Cina all’Europa. La dinastia Mogol, che ha origine in Asia Centrale, ha introdotto la stessa tradizione in India.

Anche i Turchi Ottomani erano grandi costruttori di tende, e gli eserciti ne possedevano a migliaia. Un esemplare datato tardo XVII secolo è conservato alla Real Armeria di Madrid. La tenda del sovrano e dei suoi accompagnatori era decorata in modo lussuoso ed era utilizzata per ricevere ospiti, tenere banchetti, negoziare alleanze e ospitare cerimonie; era arredata con ogni tipo di comfort tra cui vasche e bagni interni, che i turchi avevano ereditato dai Romani. La copertura esterna era rossa, blu e bianca, mentre l’interno era decorato generosamente con ricami in oro e seta e abbellito con fantasie a zig-zag.

Anche  gli  indiani  americani  utilizzavano  le  tende (“wigvams” o “tepee”). Quest’ultima era costituita da piccoli pezzi di pellame cuciti tra loro e trasportata da donne e cani; con l’introduzione dei cavalli, nel XVI Secolo, le tende divennero anche più grandi. La “tepee” è stata un’invenzione degli indiani Apache e Blackfoot, che risiedevano nella parte orientale degli attuali Stati Uniti. La costruzione consisteva in tre o quattro pali legati tra loro in una cima e coperti con pelle di bisonte, spesso decorata dalle donne; nelle stagioni più calde, il rivestimento era in cotone. Le tende dei capi potevano arrivare anche a cinque metri in altezza, avevano una forma ovale e sulla sommità avevano un’apertura che permetteva un ricambio d’aria e la fuoriuscita del  fumo. La pelle di bisonte era impermeabile e proteggeva l’interno dalle intemperie mentre all’interno potevano essere appesi vari tipi di attrezzi. Gli accampamenti contavano centinaia di tende che potevano essere chiuse e rimosse in una giornata.

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